Santa
Caterina e Rio Grande del sud sono gli Stati più meridionali della grande
confederazione brasiliana. Al di la dei confini nazionali Cervantes prende il
posto di Camoes e inizia l’area di influenza ispanica come stabilito dal
trattato Tordesillas del 1494. Il Brasile da cartolina, quello dominato dall’influenza
Carioca e Paulista qui è lontanissimo e non è una semplice distanza
chilometrica ma anche umana, sociale e culturale. Nel “decennio eroico”
1835-1845 i territori del sud si ribellarono allo stato centrale con quella che
è passata alla storia come “Rivoluzione farroupilha” derivante dal termine
spregiativo “farrapos”, ovvero straccioni, come venivano definiti dai soldati
dell’Impero Brasiliano gli abitanti di quei luoghi. I due più importanti
comandanti degli eserciti ribelli furono Bento Goncalves e l’eroe dei due mondi
Giuseppe Garibaldi, che di li a poco sarebbe rientrato in Italia per combattere
nelle nostre guerre di indipendenza. Alla fine i farrapos vennero sconfitti, il
governo centrale riprese il controllo politico del territorio, ma l’orgoglio
gaucho di queste terre non si è mai spento. Ai due condottieri sono stati
dedicati i nomi di due città e nel settembre di ogni anno viene celebrata la “settimana
farroupilha” per ricordare le gesta del
decennio eroico. Il sud del Brasile ha una orografia comune a molti paesaggi
europei e anche il clima è abbastanza simile. Le condizioni climatiche ne fanno
il granaio del Brasile e non c’è da stupirsi che negli ultimi decenni del 1800 questa regione sia stata interessata da
una intensa immigrazione europea, con tedeschi e italiani che hanno fondato
diverse comunità che con il loro sviluppo hanno dato lavoro e benessere a molti
di loro. L’immigrazione italiana proveniva principalmente dalle regioni del nord
con forte prevalenza veneta e questo ha portato allo sviluppo di un linguaggio
parlato del tutto peculiare: un idioma prevalentemente veneto ma
contaminato da quelli degli altri gruppi regionali e dal portoghese parlato in
quelle regioni e utilizzato come lingua franca dagli italiani residenti in quei
luoghi a partire dal 1875. Per gli immigrati italiani nel sud del Brasile il
dialetto veneto è stato l’equivalente del toscano per l’unificazione
linguistica della nostra penisola. Come normalmente accade, con il passare del
tempo le peculiarità linguistiche dialettali tendono ad essere assimilate dalle
culture dominanti e questo è accaduto
anche in questa Nazione-Continente che è il Brasile, nella quale la prevalenza
culturale lusofona della classe dirigente è pressoché totale. Di generazione in
generazione il veneto brasiliano è stato sempre meno parlato e nel periodo
dittatoriale di Getulio Vargas il suo utilizzo è stato addirittura proibito perché
ritenuto antipatriottico e questa lingua ha corso il serio rischio di sparire.
La resistenza culturale dei discendenti dei primi migranti veneti nel sud del
Brasile ha tuttavia dato i suoi insperati frutti e nel 1989 si è svolto il “I
Encontro de Escritores em Talian” durante il quale un gruppo di scrittori,
linguisti e intellettuali che avevano questa comune ascendenza linguistica
hanno codificato tecnicamente questo dialetto dotandolo di regole e strutture
grammaticali e coniando il nome con il quale questo linguaggio è oggi
conosciuto: TALIAN. In questo modo i discendenti dei migranti del XIX secolo
hanno riscoperto le proprie origini e il talian ha iniziato una graduale ascesa
al rango di “lingua nobile”, quella che da il senso di appartenenza, per un gruppo non numeroso di brasiliani. Le statistiche
parlano di 500.000 persone in 133 città su una popolazione totale di 209
milioni di abitanti. Una minoranza sparuta ma molto attiva, costantemente
impegnata a promuovere questa lingua e mantenere ben salde le proprie origini
italiane. Si, italiane, perché anche se la lingua parlata è fondamentalmente il
veneto e qualche rigurgito autonomista di ispirazione padana è arrivato fin la,
i discendenti dei veneti sentono profondamente il legame con l’Italia, le sue
tradizioni e la sua cultura e appaiono ben poco interessati alle nostre
diatribe da strapaese. Nanetto Pipetta, il giovane emigrato partito da Venezia
per far fortuna in America, è il personaggio letterario di riferimento dei
veneti riograndensi. Creato negli anni venti dal caixense Aquiles
Bernardi, sembra seguire il cammino intercontinentale del deamicisiano
Marco, protagonista di “Dagli appennini alle ANDE”, solo che per lui il lieto
fine non ci sarà. La via dell’emigrazione è fatta di sacrificio, fatica e
rinunce, i migranti lo sanno bene e forse per questo per lungo tempo si sono
identificati in Nanetto. Il personaggio è stato portato sulle scene dall’attore
di teatro Pedro Parenti, una delle voci “classiche” della cultura talian, purtroppo
prematuramente scomparso diversi anni fa. Teatro, iniziative culturali e
multimediali hanno caratterizzato l’opera degli attivisti del talian e questo
incessante lavoro ha portato finalmente, nel 2015, al riconoscimento ufficiale
di questa lingua da parte del grande stato multietnico e multiculturale
brasiliano, di cui questa comunità è uno dei tanti elementi fondanti. Un cenno
particolare merita la città riograndense di Serafina Correa che ha riconosciuto
il talian come lingua co-ufficiale accanto al portoghese. Negli ultimi anni
sono state fondate diverse riviste che fanno riferimento alla cultura talian,
mentre Radio Talian Brasil dalla città di Lajeado diffonde programmi in talian
in modulazione di frequenza e sul web. La nostra città ha avuto la sua buona
fetta di popolazione emigrata in America Latina tra gli anni 40 e gli anni 60,
quindi in molti ricordano sulla propria pelle la fatica, i sacrifici e il
dolore derivanti da questa scelta determinata dallo stato di necessità. Proprio
per questo siamo in grado di comprendere questo pervicace attaccamento alle
proprie radici e l’orgoglio di appartenere a una cultura nobile e antica pur
essendo ormai italiani del nuovo mondo.