Alle 20.20 del 6 ottobre 1941 una misteriosa voce antifascista si inseriva nel commento ai fatti del giorno di Mario Appelius trasmesso dalle stazioni EIAR. Per tre anni lo "spettro", cosi venne chiamata questa misteriosa voce, costituì una spina nel fianco nelle trasmissioni di propaganda fascista. Solo nel dopoguerra si è venuto a conoscenza della vera identità dello "spettro". Il suo nome era Luigi Polano e la missione di disturbo delle trasmissioni di Appelius gli era affidata direttamente da Palmiro Togliatti. Lo scrittore Vindice Lecis ha raccontato questa storia in un libro e questa sera, nella stessa ora di apparizione dello "spettro" sulle onde dell'EIAR, potrai ascoltare questa storia dalla sua voce. BUON ASCOLTO!
A NEW RADIO HERNICA PODCAST.
At 8.20 pm on 6 October 1941 a mysterious anti-fascist voice entered the commentary on the events of the day by Mario Appelius broadcast by the EIAR stations. For three years the "specter", as this mysterious voice was called, was a thorn in the side of fascist propaganda broadcasts. Only after the war did we learn of the true identity of the "specter". His name was Luigi Polano and the jamming mission of Appelius' broadcasts had been entrusted to him directly by Palmiro Togliatti. Writer Vindice Lecis told this story in a book and tonight, at the same time as the "ghost" appears on the waves of the EIAR, you can hear this story from his voice. GOOD LISTENING!
Il rock non
ha mai avuto grande fortuna a Sanremo. Non moltissimi i brani del genere
presentati e quasi sempre relegati nella parte bassa delle classifiche. La
"vita spericolata" di Vasco Rossi è un esempio da manuale con il
penultimo posto al Festival del 1983 e un milione di copie vendute nei giorni
successivi, con la vincitrice di quell'anno, Tiziana Rivale, ben presto scomparsa
dal mondo della canzone. Spesso si è parlato, facendo un azzardato paragone con
la politica, di un distacco dalla sensibilità e dai gusti del paese reale, in
realtà organizzatori, case discografiche e addetti ai lavori in genere, hanno
sempre cercato di assecondare più che altro l'evento televisivo puntando sull'usato
sicuro e proponendo prodotti musicali piuttosto convenzionali. Le grandi star
sono diventate il contorno, lo specchietto per le allodole per attirare il
pubblico tra una canzone in gara e l'altra. Sono ben lontani gli anni nei quali
personaggi del calibro di Stevie Wonder, Jose Feliciano e Paul Anka si cimentavano
in gara cantando nel loro improbabile italiano. Le innovazioni in campo
musicale sono quindi avvenute altrove e il Festival si è caratterizzato sempre
di più come un contenitore televisivo di successo con la capacità di attrarre
cospicue sponsorizzazioni. Negli ultimi anni questa funzione di selezione dal
basso è stata invece svolta dai talent show alla x-factor e non a caso molti
dei personaggi che calcano il palco dell'Ariston provengono da questa
esperienza. Forse proprio per questo motivo negli ultimi anni c'è stato un
riavvicinamento tra le proposte del Festival, le sue classifiche e i gusti
musicali della gente che ormai si misurano in click sui video pubblicati sulle
numerose piattaforme di streaming. I 173 milioni di visualizzazioni di
"Soldi" di Mahmood, vincitore dello scorso anno, ne sono la prova.
Difficile ripetere questo exploit per i Maneskin, vincitori di quest'anno con
"Zitti e buoni", ma il gruppo rock romano è sulla buona strada e
hanno già scritto un pezzo di storia della canzone vincendo Sanremo affrontando
un genere musicale sempre negletto in tale contesto. Ce l’hanno fatta, a quasi
40 anni dal Vasco Rossi relegato agli ultimi posti, ma ce l’hanno fatta. Ormai
il rock di innovativo ha ben poco, i classici vengo eseguiti in sale da
concerto dove magari la sera prima hanno eseguito la settima di Bruckner, la
tecnica musicale è codificata e oggetto di studio nei conservatori, ma per il
festival di Sanremo è una rivoluzione, parola abusata ma che rende l’idea dello
strappo con il passato. Dopo 40 anni finalmente vediamo un po' vita sul palco
dell’Ariston ed è una vita decisamente più spericolata, anche se non ci troviamo precisamente a Woodstock.
RADIO HERNICA HA PRODOTTO UN NUOVO, INTERESSANTE PODCAST, QUESTA VOLTA ANCHE IN VERSIONE VIDEO, CON LE IMMAGINI D'EPOCA DEI PROTAGONISTI DELLA VICENDA DELLA RADIO ARABA DI BARI RICOSTRUITA DAL PROF. ARTURO MARZANO.
Tra il 1934 e il 1943 l'EIAR destinò una cospicua parte della propria programmazione a trasmissioni di propaganda in lingua araba destinate ad orientare favorevolmente l'opinione pubblica araba e mediorientale nei confronti dell'Italia e del regime fascista. L'obbiettivo politico fallì miseramente a causa della scarsa qualità dell'informazione proposta, mentre le rubriche della sezione culturale della programmazione che era curata dall'intellettuale Enrico Nunè suscitarono vasto interesse e apprezzamento. Con l'8 settembre 1943 anche Radio Bari rimane senza direttive e cessa le trasmissioni per qualche giorno. Con l'arrivo degli Alleati Radio Bari riprenderà le trasmissioni, questa volta a favore delle forze democratiche e della Resistenza. Alla storia della radio araba di Bari il Prof. Arturo Marzano, ricercatore dell'Università di Pisa, ha dedicato un corposo saggio pubblicato da Carocci editore, che ricostruisce minuziosamente le vicende politiche, culturali e umane che hanno caratterizzato i nove anni di vita dell'emittente. Intervistato da Francesco Cecconi il prof. Marzano ha raccontato questa vicenda per gli ascoltatori di Radio Hernica.
Santa
Caterina e Rio Grande del sud sono gli Stati più meridionali della grande
confederazione brasiliana. Al di la dei confini nazionali Cervantes prende il
posto di Camoes e inizia l’area di influenza ispanica come stabilito dal
trattato Tordesillas del 1494. Il Brasile da cartolina, quello dominato dall’influenza
Carioca e Paulista qui è lontanissimo e non è una semplice distanza
chilometrica ma anche umana, sociale e culturale. Nel “decennio eroico”
1835-1845 i territori del sud si ribellarono allo stato centrale con quella che
è passata alla storia come “Rivoluzione farroupilha” derivante dal termine
spregiativo “farrapos”, ovvero straccioni, come venivano definiti dai soldati
dell’Impero Brasiliano gli abitanti di quei luoghi. I due più importanti
comandanti degli eserciti ribelli furono Bento Goncalves e l’eroe dei due mondi
Giuseppe Garibaldi, che di li a poco sarebbe rientrato in Italia per combattere
nelle nostre guerre di indipendenza. Alla fine i farrapos vennero sconfitti, il
governo centrale riprese il controllo politico del territorio, ma l’orgoglio
gaucho di queste terre non si è mai spento. Ai due condottieri sono stati
dedicati i nomi di due città e nel settembre di ogni anno viene celebrata la “settimana
farroupilha” per ricordare le gesta del
decennio eroico. Il sud del Brasile ha una orografia comune a molti paesaggi
europei e anche il clima è abbastanza simile. Le condizioni climatiche ne fanno
il granaio del Brasile e non c’è da stupirsi che negli ultimi decenni del 1800 questa regione sia stata interessata da
una intensa immigrazione europea, con tedeschi e italiani che hanno fondato
diverse comunità che con il loro sviluppo hanno dato lavoro e benessere a molti
di loro. L’immigrazione italiana proveniva principalmente dalle regioni del nord
con forte prevalenza veneta e questo ha portato allo sviluppo di un linguaggio
parlato del tutto peculiare: un idioma prevalentemente veneto ma
contaminato da quelli degli altri gruppi regionali e dal portoghese parlato in
quelle regioni e utilizzato come lingua franca dagli italiani residenti in quei
luoghi a partire dal 1875. Per gli immigrati italiani nel sud del Brasile il
dialetto veneto è stato l’equivalente del toscano per l’unificazione
linguistica della nostra penisola. Come normalmente accade, con il passare del
tempo le peculiarità linguistiche dialettali tendono ad essere assimilate dalle
culture dominanti e questo è accaduto
anche in questa Nazione-Continente che è il Brasile, nella quale la prevalenza
culturale lusofona della classe dirigente è pressoché totale. Di generazione in
generazione il veneto brasiliano è stato sempre meno parlato e nel periodo
dittatoriale di Getulio Vargas il suo utilizzo è stato addirittura proibito perché
ritenuto antipatriottico e questa lingua ha corso il serio rischio di sparire.
La resistenza culturale dei discendenti dei primi migranti veneti nel sud del
Brasile ha tuttavia dato i suoi insperati frutti e nel 1989 si è svolto il “I
Encontro de Escritores em Talian” durante il quale un gruppo di scrittori,
linguisti e intellettuali che avevano questa comune ascendenza linguistica
hanno codificato tecnicamente questo dialetto dotandolo di regole e strutture
grammaticali e coniando il nome con il quale questo linguaggio è oggi
conosciuto: TALIAN. In questo modo i discendenti dei migranti del XIX secolo
hanno riscoperto le proprie origini e il talian ha iniziato una graduale ascesa
al rango di “lingua nobile”, quella che da il senso di appartenenza, per un gruppo non numeroso di brasiliani. Le statistiche
parlano di 500.000 persone in 133 città su una popolazione totale di 209
milioni di abitanti. Una minoranza sparuta ma molto attiva, costantemente
impegnata a promuovere questa lingua e mantenere ben salde le proprie origini
italiane. Si, italiane, perché anche se la lingua parlata è fondamentalmente il
veneto e qualche rigurgito autonomista di ispirazione padana è arrivato fin la,
i discendenti dei veneti sentono profondamente il legame con l’Italia, le sue
tradizioni e la sua cultura e appaiono ben poco interessati alle nostre
diatribe da strapaese. Nanetto Pipetta, il giovane emigrato partito da Venezia
per far fortuna in America, è il personaggio letterario di riferimento dei
veneti riograndensi. Creato negli anni venti dal caixense Aquiles
Bernardi, sembra seguire il cammino intercontinentale del deamicisiano
Marco, protagonista di “Dagli appennini alle ANDE”, solo che per lui il lieto
fine non ci sarà. La via dell’emigrazione è fatta di sacrificio, fatica e
rinunce, i migranti lo sanno bene e forse per questo per lungo tempo si sono
identificati in Nanetto. Il personaggio è stato portato sulle scene dall’attore
di teatro Pedro Parenti, una delle voci “classiche” della cultura talian, purtroppo
prematuramente scomparso diversi anni fa. Teatro, iniziative culturali e
multimediali hanno caratterizzato l’opera degli attivisti del talian e questo
incessante lavoro ha portato finalmente, nel 2015, al riconoscimento ufficiale
di questa lingua da parte del grande stato multietnico e multiculturale
brasiliano, di cui questa comunità è uno dei tanti elementi fondanti. Un cenno
particolare merita la città riograndense di Serafina Correa che ha riconosciuto
il talian come lingua co-ufficiale accanto al portoghese. Negli ultimi anni
sono state fondate diverse riviste che fanno riferimento alla cultura talian,
mentre Radio Talian Brasil dalla città di Lajeado diffonde programmi in talian
in modulazione di frequenza e sul web. La nostra città ha avuto la sua buona
fetta di popolazione emigrata in America Latina tra gli anni 40 e gli anni 60,
quindi in molti ricordano sulla propria pelle la fatica, i sacrifici e il
dolore derivanti da questa scelta determinata dallo stato di necessità. Proprio
per questo siamo in grado di comprendere questo pervicace attaccamento alle
proprie radici e l’orgoglio di appartenere a una cultura nobile e antica pur
essendo ormai italiani del nuovo mondo.
Questo è il secondo appuntamento dantesco per Radio Hernica dopo il video dedicato allo schiaffo di Anagni. I versi del XX canto del Purgatorio che Dante riserva alla vicenda dello schiaffo e quindi alla nostra città sono di gran lunga i più conosciuti, ma il sommo poeta cita per la seconda volta Anagni anche nel XXX canto del Paradiso e protagonista è ancora una volta Bonifacio VIII che con l'infamante accusa di simonia viene letteralmente spedito all'inferno insieme a Nicolò III (della famiglia degli Orsini) che nel canto XIX dell'Inferno ne ha già predetto tal sorte. Vi invitiamo a vedere e condividere il video con i versi danteschi letti da Daniela Pesoli.
Un modo indiretto per iniziare a capire ciò che accade oggi in Congo è leggere "Cuore di tenebra" di Joseph Conrad. Attraverso le vicende di Kurtz, un agente commerciale al servizio di una potente Compagnia belga, raccontate da Charles Marlow, l’io narrante del romanzo, il lettore viene condotto in uno scenario apocalittico di terrore e morte che accompagnano il business dell'epoca: il commercio di avorio. «He had summed up--he had judged. "The horror!"» Le ultime parole pronunciate da Kurtz sono profetiche: l’orrore in quelle terre non è mai cessato, anzi, l’escalation di sangue e violenza ha portato negli anni a cavallo fra i due secoli a uno dei più grandi genocidi della storia moderna coinvolgendo in due guerre aperte, più un conflitto a “bassa intensità” mai interrotto, oltre 6 milioni di persone. Lo scopo delle guerre è sempre lo stesso: il controllo delle risorse naturali di un territorio grande otto volte l’Italia. Ai tradizionali avorio, oro e diamanti negli ultimi anni si è aggiunto un nuovo elemento raro in quasi tutto il mondo tranne che nella regione del Nord Kivu e zone limitrofe: Il coltan. Da questo mix minerale composto da columbite e tantalite si ricava, dopo un relativamente semplice processo chimico, il tantalio puro utilizzato nella componentistica elettronica di tutti i dispositivi multimediali di comune utilizzo: cellulari, PC, lettori DVD, ecc. Considerata la crescente richiesta e la rarità del minerale, è evidente la concentrazione di interessi per questa regione che da sola dispone dell’80% delle riserve mondiali. Un chilo di coltan è arrivato a costare, nel periodo della seconda guerra congolese, circa 600 dollari, per assestarsi al valore attuale di 150-200 dollari. Montagne di denaro e guadagni immensi generati da uno sfruttamento indiscriminato del lavoro manuale, soprattutto minorile. Nelle miniere a cielo aperto si muore in continuazione: fatica, malattie e intossicazioni derivanti dalla manipolazione del minerale senza alcuna protezione, falcidiano i lavoranti, veri e propri schiavi del XXI secolo le cui condizioni di vita non differiscono di molto da quelle descritte da Conrad oltre un secolo fa. Le milizie armate che scorrazzano dall’una all’altra parte degli evanescenti confini internazionali tra Congo, Uganda, Rwanda e Burundi controllano e si contendono lo sfruttamento di questa ricchezza e già che ci sono hanno messo su anche una fiorente industria dei rapimenti, giusto per arrotondare. Insomma, in tutto questo di etico c’è poco o nulla. In questa bolgia infernale ONG, missionari, tra i quali i Caracciolini, e varie missioni delle Nazioni Unite, cercano di dare assistenza e un barlume di speranza alle popolazioni locali e spesso sono le persone di buona volontà come l’ambasciatore Attanasio, il carabiniere Iacovacci e il loro autista Milambo a farne le spese. Le risorse messe in campo sono talmente sbilanciate che è possibile fare ben poco. E tutto questo per il superiore interesse di avere a disposizione uno smartphone leggerissimo, velocissimo, che ci consente di condividere la ricetta dei ravioli con spinaci in un millisecondo e che regge la carica almeno per una settimana.
E’ in uscita un CD dell'autore anagnino Enrico Lombardelli. Non si discosta dalle tematiche che hanno da sempre connotato la sua produzione: sguardo rivolto alle tematiche sociali, alle dinamiche della vita di ciascuno e della comunità in cui siamo immersi e che induce o a scegliere o ad accettare passivamente. Il “genere" di Enrico è narrativo, racconto di storie nelle quali tanti possano ritrovarsi.
Il CD s'intitola “Quand'ero ragazzino". Lombardelli racconta: bastimenti, treni, lavoro, radici, (“Gira la rota" in dialetto anagnino). Dodici brani scelti, tra i tanti che ho scritto, che connotano abbastanza chiaramente il mio percorso cantautorale. Ho vissuto l’epoca del grande rock dalla fine degli anni sessanta in poi, ma il mio interesse è stato catturato dal filone folk, dalla canzone popolare, sicuramente per le mie “radici”.
Sono nato ad Anagni, paese precipuamente contadino, negli anni cinquanta. Il boom influenzò anche questo microcosmo. Tanti che avevano trascorso l’infanzia, la giovinezza tra i vicoli e la campagna circostante, si trasferirono a Roma nei cantieri che andavano trasformando il volto urbano della capitale con la nascita di interi nuovi quartieri. Anche la mia famiglia “emigrò” a Roma, avevo otto anni.
La musica entrò a far parte della mia vita a metà degli anni sessanta. Il Folk Studio era a due passi da casa mia, lo frequentavo da spettatore fino a quando io stesso salii su quel palco a proporre i miei brani: si portavano dietro la dimensione contadina, il lavoro dei campi, l’aspirazione a cambiare le cose. Il mio esordio discografico fu un 45 giri. Anni dopo realizza due LP: “Figli e no" e “Generazione".
Venne poi il tempo di “Pueblo Unido", il gruppo che fondai con Franco Fosca e Maurizio Carlini. Musica popolare e impegno politico sui palchi di tutta Italia. Ne scaturiscono tre CD “Storia d’italia attraverso le canzoni popolari”, canti del lavoro, dell’emigrazione, canti della prima guerra mondiale fino al secondo dopoguerra. Una storia d'Italia vista dal basso. Seguirono la pubblicazione di un mio romanzo “Dentro e fuori il vicolo" (la vita di un bambino di sei anni nell'Anagni dei primi anni cinquanta fino alla partenza per la grande città) e un opuscolo di poesie intitolato “Dal vicolo all'autostrada".
Ora è la volta di “Quand'ero ragazzino", una raccolta di brani che riassume il mio percorso.
«Nel "Giorno della Memoria", che il Parlamento italiano ha voluto dedicare alle vittime del terrorismo, la Repubblica si inchina davanti alle vite spezzate dal fanatismo politico, dalle violenze di gruppi brigatisti e neofascisti, dagli assalti eversivi alle istituzioni democratiche e alla convivenza civile.
Tragicamente lunga è la sequela delle persone uccise negli anni di piombo: servitori dello Stato, donne e uomini eletti a simbolo di funzioni pubbliche, cittadini impegnati nella vita sociale, testimoni coerenti che non hanno ceduto al ricatto. Il legame della memoria rinnova e rafforza il sentimento di solidarietà con i familiari, ma richiama anche un impegno che vale per l'intera comunità.
Ricordare è un dovere. Ricordare le strategie e le trame ordite per destabilizzare l'assetto costituzionale, le complicità e le deviazioni di soggetti infedeli negli apparati dello Stato, le debolezze di coloro che tardarono a prendere le distanze dalle degenerazioni ideologiche e dall'espandersi del clima di violenza. Ed è giusto ricordare il coraggio di chi non si è piegato, di chi ha continuato a difendere la libertà conquistata, il diritto e la legalità, le istituzioni che presidiano la vita democratica. Il terrorismo è stato sconfitto grazie al sacrificio e alla rettitudine di molti, e grazie all'unità che il popolo italiano ha saputo esprimere in difesa dei valori più profondi della propria civiltà. La storia ci ha dimostrato che l'unità e la coesione degli italiani sono gli strumenti più efficaci di fronte ai pericoli più gravi.
Nel tempo sono state accertate responsabilità dirette e indirette. Gli autori dei delitti sono stati sottoposti a processi e condanne. Ma non ovunque è stata fatta piena luce. La verità resta un diritto, oltre che un dovere per le istituzioni. Terrorismo ed eversione sono stati battuti con gli strumenti della democrazia e della Costituzione: la ricerca della verità, dunque, deve continuare laddove persistono lacune e punti oscuri.
Il 9 maggio è il giorno in cui Aldo Moro venne ucciso. La barbarie brigatista giunse allora all'apice dell'aggressione allo Stato democratico. Lo straziante supplizio a cui Moro venne sottoposto resterà una ferita insanabile nella nostra storia democratica. Respinta la minaccia terroristica, oggi ancor più sentiamo il dovere di liberare Moro e ogni altra vittima da un ricordo esclusivamente legato alle azioni criminali dei loro assassini. Nel riscoprire il pensiero, l'azione, gli insegnamenti di Moro e di tanti altri giusti che hanno pagato il prezzo della vita, ritroveremo anche talune radici che possono essere preziose per affrontare il futuro».
L'area archeologica dell'antica Casinum, sita al primo chilometro
della Strada Statale per Montecassino, comprende alcuni notevoli
monumenti della città romana, in parte ricadenti all'interno delle mura e
in parte immediatamente a valle di esse. Si conservano resti del
tracciato viario antico, in particolare una strada pavimentata in basoli
di calcare, da identificare con il tratto urbano della via Latina,
prolungata sino a Casinum in occasione dell'acquisizione della città ai
domini di Roma, nonché la porta Campana, così identificata in
un'epigrafe relativa a restauri realizzati nel 57 d.C.
Di grande
interesse risulta l'anfiteatro, edificio per spettacoli in parte
appoggiato al pendio del colle, risalente probabilmente ai decenni di
passaggio fra il I sec. a.C. e il I d.C., sebbene una testimonianza
epigrafica attribuisca la costruzione alla matrona cassinate Ummidia
Quadratilla (28-107 d.C. ca.).
Allo stesso personaggio la
tradizione ascrive anche il monumentale sepolcro in opera quadrata di
grandi blocchi calcarei sito lungo il limite urbano, certamente
destinato, in considerazione dell'ubicazione, ad un personaggio
benemerito, sebbene permangano alcune incertezze riguardo alla
cronologia del monumento. Presso il teatro, subito a monte dell'area
dove si ipotizza la presenza del foro, si è messa in luce la magnifica
pertinenza di una ricca domus: il cosiddetto Ninfeo Ponari, grotta
artificiale appoggiata al retrostante declivio e preceduta da un atrio
con impluvio. Il Ninfeo conserva tracce delle decorazioni parietali e
pavimentali, risalenti a due distinte fasi: quella originaria, attorno
alla metà del I sec. a.C., la seconda attribuibile ad una
ristrutturazione avvenuta verso il 100 d.C.
Nel museo sono esposti
reperti provenienti dalla città e dagli immediati dintorni, di epoca
preromana, arricchiti da una scelta di materiali relativi alla civiltà
volsca provenienti dall'antica Satricum (località Le Ferriere, Latina) e
da recenti ritrovamenti nelle necropoli romane sulla via Pedemontana ad
Ovest della città (sala Ottagona). Nelle altre sale sono i materiali
della Casinum romana, fra i quali pregevoli opere provenienti dal teatro
(calco della statua in nudità eroica del cosiddetto Eroe di Cassino, il
cui originale è conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli;
frammenti di statua colossale di Augusto; elementi architettonici di
decorazione della scaenae frons del teatro), cui si aggiunge un notevole
letto funerario in osso recuperato nel corso di recenti scavi nella
necropoli occidentale della vicina Aquinum. Scendendo lungo la facciata
del Museo, si può accedere al lapidario, ricavato all'interno di
ambienti voltati di età romana, relativi probabilmente ad opere di
sostegno di edifici o complessi monumentali a carattere pubblico.
L'iconica "Notte stellata" (De sterrennacht) dipinta da Vincent Van Gogh nel 1889 è stata fonte di ispirazione per generazioni di artisti, anche non legati al mondo della pittura. Il cinema, ad esempio, ha attinto a piene mani dalla vicende artistiche e umane del pittore olandese, a partire dal celebre documentario di Alain Resnais del 1948 per arrivare al recentissimo "Van Gogh-Sulla soglia dell'eternità" del regista Julian Schanbel. I musicisti non sono stati da meno e tra essi, in tempi relativamente recenti il cantautore americano Don Mc Lean nel 1971 ha composto una struggente ballata dedicata a Vincent e che è conosciuta anche come "Starry starry night", chiaro riferimento al dipinto attualmente custodito al Museum of Modern art di New York.
"VINCENT" NELLA VERSIONE DI DON MCLEAN (1971)
Questa ballata divenne una vera hit qui in Italia grazie a uno sceneggiato televisivo della RAI intitolato "Lungo il fiume e sull'acqua di cui era la sigla iniziale. Si ebbero quindi le immancabili versioni italiane come usava all'epoca e a cimentarsi con "Vincent" furono Francesco de Gregori, Little Tony e Roberto Vecchioni, la cui versione è la più convincente e vicina allo spirito dell'opera originale. Una cover di tutto rispetto incisa dal "poeta" Roberto Vecchioni ma scritta a quattro mani con l'amico di una vita, a sua volta poeta, cantautore e giornalista Enrico Nascimbeni purtroppo prematuramente scomparso nel 2019.
"VINCENT" NELLA VERSIONE DI ROBERTO VECCHIONI
Cosi Nascimbeni racconta la nascita di "Vincent":
"Andai un pomeriggio a casa di Roberto Vecchioni. Gli feci ascoltare una
canzone degli anni Sessanta, di Donald Don McLean. “Vincent”. Dedicata
all’immenso pittore . Gli dissi che si poteva fare in italiano
stravolgendo il testo e che lui l’avrebbe potuta cantare e incidere nel
suo uomo album. Detto fatto. Andammo in cucina. Tanti fogli di carta
bianca. Biro e al primo momento silenzio. Ognuno di noi cominciò a
scrivere delle frasi. Io fumavo una sigaretta dietro l’altra e Roberto
sigari a profusione.
In quattro ore il testo di Vincent era pronto. Ci accorgemmo che avevamo
scritto della nostra amicizia e di noi. Come accade spesso, anche se la
canzone parla di un’altra persona. Quel testo eravamo noi. Con le
nostre paure. Il nostro ego. Le nostre vite. Avevamo scritto di una
storia di amore tra due uomini. Van Gogh e Gauguin. Roberto ed Enrico".
"Vincent" fu inserito nell'album doppio "Canzoni e cicogne" pubblicato nel 2000.
«Con un quadro vorrei
poter esprimere qualcosa di commovente come una musica. Vorrei dipingere
uomini e donne con un non so che di eterno, di cui un tempo era simbolo
l’aureola, e che noi cerchiamo di rendere con lo stesso raggiare, con
la vibrazione dei colori [...]. Ah il ritratto, il ritratto che mostri i
pensieri, l’anima del modello: ecco cosa credo debba vedersi»
È pervenuta al Comune una comunicazione della Prefettura di Frosinone nella quale viene specificato che a partire dal 4 Maggio potrà essere consentito l'accesso al cimitero.
Nella mattinata di domani firmerò una apposita Ordinanza Sindacale per
la riapertura al pubblico del cimitero comunale cui sarà possibile
recarsi a partire dalle ore 11:00. Sono felice di poter dare,
assieme all'assessore al Patrimonio Floriana Retarvi, questo annuncio ai
cittadini. Tutti infatti abbiamo aspettato, fin dal giorno della
chiusura dei cimiteri a causa dell'epidemia di Covid-19, di poter
portare il prima possibile un fiore sulle tombe dei nostri cari.
Finalmente da domani sarà possibile. Ci tengo però a precisare che
al cimitero comunale ci si potrà recare solo rispettando le procedure di
sicurezza previste dalla normativa, dunque mantenendo la distanza
interpersonale di 1 metro ed indossando mascherine e guanti.
Nonostante l'alleggerimento delle misure di sicurezza e contenimento
sociale in questa "fase 2", non si è ancora usciti fuori dalla pagina
buia del coronavirus ed è fondamentale rispettare le regole come fatto
finora onde evitare di dover vietare, come la normativa impone,
nuovamente l'accesso a spazi pubblici importanti come il cimitero.
Carolina e Byron fanno i compiti ascoltando la radio. Lei è in terza media e lui è in prima media, e dicono con certezza che COVID-19 ha cambiato il modo di apprendere. Vivono nel comune di Nuevo Colón, Boyacá, studiano alla scuola di Llano Grande e in mezzo alla contingenza di quarantena, ora le loro lezioni non sono virtuali ma radiali. "Considerando che abbiamo difficoltà con l'accesso a Internet, abbiamo fatto ricorso all'educazione radiofonica", afferma Carolina.
Luz Mery Contreras, sua madre, si siede accanto a loro per ascoltare i programmi radiofonici quando il suo lavoro nel campo raccogliendo le pere le permette. Dal lunedì al venerdì dalle 9:00 alle 10:00 si sintonizzano su Recreo al aire, un programma creato dagli insegnanti per spiegare le attività degli opuscoli che la scuola consegna ogni quindici giorni. “Ascoltiamo il programma e i bambini ricevono informazioni su come realizzare le guide. Ci sono anche progetti di educazione ambientale, le attività sono svolte con i genitori e riceviamo supporto dallo psicoterapeuta ", spiega Contreras.
Il Llano Grande Educational Institution, nel comune di Nuevo Colón, conta 245 studenti e cinque centri rurali. La radio è diventata un canale di comunicazione in cui ogni insegnante, il giorno della settimana corrispondente, può comunicare con i suoi studenti. La strategia si basa su una biblioteca itinerante, in modo che tutti abbiano accesso ai libri.
Alexánder Mojica, insegnante della scuola di Llano Grande e coordinatore del programma, commenta che Recreo al aire è sintonizzato sulla stazione radio Manzanar Estéreo. Un insegnante di scuola superiore, un insegnante di scuola elementare e uno psicoterapeuta partecipano a ciascuna trasmissione. Inoltre, nel programma sono in corso due attività per tutti i corsi: “Gli studenti stanno sviluppando un frutteto e stiamo anche costruendo il diario dell'esperienza di studio a casa. Questo è un modo per dare vita alle guide e dire ai bambini che non sono soli ", afferma Mojica.
In tempi di incertezza e grandi cambiamenti dovuti alla pandemia, in Boyacá la nostalgia del passato viene rianimata e la chiave, per molti, è stata proprio quella di tornare alle radici. Questo è ciò che crede Arnoldo Candela, un uomo di 88 anni che è orgoglioso che la radio continui a essere uno strumento per l'educazione, il mezzo più democratico. Candela ha partecipato nel 1959 al processo di formazione dei contadini con Acción Cultural Popular (ACPO), l'ente di gestione di Radio Sutatenza, e dal 1962 ha lavorato per undici anni come leader di scuole radio in varie regioni del paese. "A quel tempo, era necessaria solo una persona che sapesse leggere e scrivere per servire da ponte tra il presentatore e gli studenti."
Radio Sutatenza iniziò nel 1947 nella Valle di Tenza, guidata da Mons. José Joaquín Salcedo, che vide alla radio un'opportunità per raggiungere i contadini. Hernando Fernández, educatore e nativo di Sutatenza, sottolinea che il comune è ricordato come il luogo di nascita delle scuole radio in Colombia. Per lui, è un patrimonio storico, motivo per cui 73 anni dopo sopravvive nella memoria del popolo di Boyacá come un progetto che ha rotto i confini e implicato una rivoluzione per la campagna colombiana.
ACPO, un'entità di origine cattolica, mirava a migliorare la qualità della vita rurale. Attraverso alleanze con varie entità, ha istituito strutture educative in oltre 900 comuni. Radio Sutatenza insegnava scrittura, lettura, matematica e biologia; ha affrontato argomenti come la salute, la cura della terra, la spiritualità e la cultura. L'iniziativa ha avvicinato l'istruzione alle persone, trasformando i contadini in studenti e insegnanti. “Ci sono state molte difficoltà. Immagina te stesso: uno con sessant'anni e senza capire le lettere e con le lampade ad olio. Migliaia di contadini escono dall'ignoranza con la radio ", afferma Candela.
L'iniziativa ha permesso agli agricoltori di vedere il potenziale dell'educazione. Inizialmente furono create le scuole radiofoniche, poi vi fu un'organizzazione attraverso le parrocchie per controllare le classi e poi la formazione fu creata negli istituti, per rafforzare il lavoro nel resto del paese.
Domani comincerà la fase 2 dell’emergenza, quella della convivenza
con il virus. Sarà una nuova pagina che dovremo scrivere tutti insieme,
con fiducia e responsabilità.
Fino ad oggi la maggior parte dei cittadini è stata al riparo nelle
proprie case. Da domani oltre 4 milioni di italiani torneranno al
lavoro, si sposteranno con i mezzi pubblici, molte aziende e fabbriche
si rimetteranno in moto. E saranno ben più numerose le occasioni di un
possibile contagio, che potremo scongiurare solo grazie a un senso di
responsabilità ancora maggiore. Come mai prima, il futuro del
Paese sarà nelle nostre mani. Serviranno ancora di più collaborazione,
senso civico e rispetto delle regole da parte di tutti. Dovremo tenere
sempre alta l’asticella dell’attenzione, continuare a mantenere la
distanza interpersonale, a indossare la mascherina quando e dove sarà
necessario, e a lavarci spesso e con cura le mani. Più saremo scrupolosi
nell’osservare le indicazioni di sicurezza e prima potremo
riconquistare altri spazi di libertà. Non sperperiamo quello che abbiamo
faticosamente guadagnato in cinquanta giorni. Dovremo tutti
insieme cambiare marcia al Paese. Con prudenza, decisi e determinati ad
andare avanti ma senza rischiare di fermare il motore. Non c’è una
ricetta giusta per garantire la ripartenza senza pensare in primo luogo
alla salute e alla sicurezza di tutti noi. Sono fiducioso, insieme ce la faremo. G. Conte
Nativo di Zemun, municipalità autonoma di Belgrado nell'allora federazione jugoslava, la sua famiglia si trasferì in Italia, nel Trentino, quando questi aveva 6 anni. In Austria, dove frequentò le scuole medie e il primo anno di liceo, Kuzminac iniziò a suonare la batteria nel gruppo musicale scolastico, per poi passare alla chitarra[2]. Con quest'ultimo strumento sviluppò una raffinata tecnica di finger-picking (vale a dire, pizzicando la corda con la punta delle dita o usando le unghie al posto del plettro), appresa per la prima volta durante un viaggio in treno grazie a un militare statunitense che gli aveva chiesto di poter suonare la chitarra che portava con sé[2].
Allo studio (si iscrisse all'università di Padova, dove si laureò in Medicina) iniziò ad affiancare l'attività strumentistica in sala di incisione a Milano e a Roma a supporto di vari artisti. Notato da Francesco De Gregori, che intravide in lui anche qualità compositive oltre che tecniche, fu da questi segnalato a Vincenzo Micocci, già direttore artistico della RCA Italiana e fondatore delle case discografiche Parade, IT e Una sors coniunxit. Micocci mise Kuzminac sotto contratto nel 1976 e lo affidò al direttore artistico Gaio Chiocchio. L'esordio discografico del cantautore avvenne in quello stesso anno con un 45 giri triplo, opera collettiva prodotta dallo stesso Chiocchio per lanciare i giovani artisti a contratto presso la Una sors coniunxit: il brano di Kuzminac si chiamava Io, e la particolarità fu che anche i disegni delle tre copertine furono opera degli artisti presenti nel disco. Di tutti gli artisti coinvolti in quell'esperienza, fu proprio Kuzminac l'unico artista ad assurgere a un certo grado di notorietà, e nei tre anni successivi lavorò al seguito delle tournée di Angelo Branduardi, Lucio Dalla e Antonello Venditti, aprendone i rispettivi concerti.
Il successo arrivò nel 1978, con il singolo Stasera l'aria è fresca, motivo nel quale Kuzminac ebbe modo di mostrare la sua tecnica musicale oltre alle sue doti artistiche: il brano vinse il Festival di Castrocaro e ottenne il secondo posto (Gondola d'Argento) alla Mostra Internazionale di Musica Leggera di Venezia.
Sulla scia di quel successo, nel 1980 Kuzminac pubblicò il suo primo album, Ehi ci stai, da cui fu tratto il singolo (con testo di Gianfranco Baldazzi) con lo stesso nome, che si classificò secondo al Festivalbar di quell'anno; nel disco reincise anche Stasera l'aria è fresca con un nuovo arrangiamento. Il brano che dà il nome all'album, come raccontato più volte dallo stesso Kuzminac, era dedicato alla cantautrice Grazia Di Michele, amica di cui era innamorato (senza essere corrisposto). [3]
Nel frattempo la RCA Italiana, distributrice dei dischi con etichetta Una sors coniunxit, iniziò la produzione di Q Disc, 33 giri economici con quattro canzoni, di uno o più artisti. Kuzminac fu tra i primi ad apparire in tali produzioni, nel Q concert, realizzato con Ron e Ivan Graziani, contenente tre loro canzoni e l'inedito scritto insieme Canzone senza inganni; al disco fece seguito una tournée dei tre artisti.
Il secondo album di Kuzminac, Prove di volo, venne pubblicato nel 1981, e contiene la canzone Stella del nord, pubblicata anche su 45 giri e partecipante a Un disco per l'estate di Saint Vincent e ad Azzurro; nella ristampa su CD del 1998 di questo LP verrà inserita come bonus track la canzone Io che egli aveva già inciso su 45 giri nel 1976[4]. Nell'album figura come corista anche l'amica Grazia Di Michele.
Nel 1982, ripeté l'esperienza del Q disc, con Q concert, realizzato insieme a Mario Castelnuovo e Marco Ferradini, con un brano inciso insieme, Oltre il giardino, e tre inediti; il brano di Kuzminac è Bugiarda, che non fu poi inserito in alcun album in studio successivo.
Il seguito della sua carriera artistica, sebbene non sempre sotto i riflettori, avvenne fuori dall'orbita della Una sors coniunxit: quando infatti la dirigenza della RCA cambiò, Goran Kuzminac decise di rescindere il contratto che legava la distribuzione dei suoi dischi alla casa discografica. Dopo aver partecipato alla produzione del brano Per una bambola, che Patty Pravo presentò al Festival di Sanremo 1984, nel 1987 uscì quindi per la Top Records l'album Contrabbandieri di musica.
Ha poi collaborato a diversi album di altri artisti: nel 1988 ha suonato la chitarra nell'album del cantautore Rodolfo SantandreaAiutatemi, amo i delfini, nel 1996 ha scritto con Carlo Alberto Contini la canzone La coerenza, incisa dai Nomadi nell'album Quando ci sarai, e nel 2009 ha cantato il brano Un'altra dimensione nell'album JL degli Algebra. Dallo stesso anno ha svolto anche attività di musicoterapia presso l'ospedale psichiatrico romano "Villa dei Fiori".
Diversificando le proprie attività, iniziò a occuparsi anche di ricerca musicale, grafica professionale 3D, post produzione video e finanche produzione di videoclip: attivo anche nella produzione di colonne sonore per produzioni fuori dall'Italia e nella tecnica di sonorizzazione di vasti ambienti, non ha mai abbandonato la produzione discografica regolare.
Nel suo ultimo decennio di vita sono così usciti gli album di inediti Dio suona la chitarra (2008), basato sulla chitarra e con la collaborazione di Alex Britti, Antonio Onorato, Charley De Anesi, Lincoln Veronese, Mauro De Federicis e Andrea Valeri, e Fiato (2012), distribuito dalle Egea Music, oltre al suo primo live Solo ma non solo (2011), registrato in teatro ad Andria con sole chitarra e voce, e a Goran Kuzminac & Stefano Raffaelli Jazz Quartet (2014), contenente dieci brani arrangiati da Stefano Raffaelli (Pianoforte) con Walter Civettini (Trumpet / Fluegelhorn), Flavio Zanon (Doublebass) e Carlo A. Canevali (Drums): il primo lavoro dove Goran si avvale della sola voce, senza la chitarra.
Si è spento il 18 settembre 2018 dopo una lunga malattia.